Walter varcò la soglia di casa con le spalle curve sotto il peso della stanchezza, ma un suono penetrante e disperato lo fece trasalire. Quel pianto inconfondibile che rimbombava tra le pareti era di Logan, il loro neonato di appena quattro settimane. Da giorni, il piccolo non smetteva di piangere, e ogni tentativo di consolarlo si era rivelato inutile.
«Tesoro, cosa succede?» chiese Walter con voce preoccupata, entrando in cucina. Avvolse le braccia attorno ad Abby, che era seduta, il volto rigato dalle lacrime e gli occhi gonfi.
«Ho fatto tutto quello che potevo, Walter!» scoppiò lei, esausta. «L’ho allattato, cambiato, lavato… l’ho tenuto stretto per ore! Ho persino controllato se avesse la febbre! Eppure, non smette mai! Non ce la faccio più!»
Walter si sentiva impotente, sommerso da un senso di fallimento. Ogni giorno sembrava più difficile del precedente, e la notte portava con sé solo urla e disperazione. Era passato solo un mese dalla nascita di Logan, ma a lui sembrava un’eternità.
«Andiamo, vediamo se insieme capiamo cosa sta succedendo,» disse, cercando di infonderle un po’ di forza. Le prese la mano e si diressero verso la cameretta.
Ma una volta davanti alla culla, entrambi si bloccarono. Logan non c’era. Al suo posto, un vecchio registratore e un foglio piegato con cura. Walter, col cuore in gola, premette il tasto “stop” sul dispositivo. Il pianto cessò di colpo, lasciando un silenzio irreale nella stanza.
«Che… che significa questo?» sussurrò Abby, tremando.
Walter raccolse il foglio, le mani che gli tremavano, poi lo porse alla moglie. Abby lo aprì e lesse a voce alta, il viso che si scoloriva a ogni parola.
«Ti avevo detto che ci sarebbero state conseguenze per come mi hai trattato.»
Un messaggio glaciale, inequivocabile. Logan era stato rapito. Ma da chi? Walter sentì le gambe cedere, mentre il mondo attorno sembrava crollare nel silenzio.