— Mamma, ti prego… non riesco ad affrontare tutto questo da sola.
— Mi dispiace, Giorgia. Ma stavolta… scelgo me.
Quelle parole scesero leggere e taglienti come neve fuori stagione — inaspettate, quasi belle, ma dolorose. Caterina Gualtieri rimase immobile davanti alla finestra, la lettera della banca ancora tra le dita. I raggi del sole entravano tra le tende leggere, ma non riuscivano a sciogliere il gelo nel suo petto.
— Non ti riconosco, mamma… — la voce di Giorgia tremava, ferita. — Tu non sei fatta così. Non sei mai stata… egoista.
— Forse è proprio questo il punto, amore mio, — rispose Caterina, voltandosi con calma verso il telefono. — Non sono mai stata «così». Ma ora sento il bisogno di esserlo.
Era passato un anno dalla morte di Luigi, suo marito. Trentasette anni di vita insieme, pieni di sacrifici, silenzi, doveri mai scelti. Ora, per la prima volta, Caterina si sentiva padrona di sé stessa. Non più solo la madre disponibile, la moglie accomodante, la donna che metteva sempre gli altri al primo posto.
— Ti rendi conto che ci stai lasciando soli? Con un bimbo piccolo, un marito che non lavora e mille problemi sulle spalle? — urlò Giorgia.
Caterina abbassò le palpebre per un istante. Sapeva, eccome se sapeva. Le aveva già aiutati tante volte. Pagato bollette, fatto la spesa, accudito suo nipote anche quando le ginocchia urlavano dal dolore. Ma ora… ora era il suo tempo.
— Ho venduto il casale in Toscana, — disse infine. — E con quei soldi… il mese prossimo parto per Lisbona.
— Lisbona?! Ma sei fuori di testa?!
Caterina sorrise appena. Da sempre sognava di vedere l’oceano, di camminare su quei marciapiedi di pietra lucida, di assaggiare un pastel de nata mentre il sole scendeva oltre l’Atlantico.
— Ho trovato una pensioncina accogliente. Hanno un programma per vedove. Fanno arte, lezioni di lingua, passeggiate. Ho bisogno di respirare aria nuova.
— E noi? — sibilò Giorgia. — Non contiamo più niente?
Quelle parole le fecero male. Ma non quanto il pensiero di continuare a vivere dimenticandosi di sé.
— Ti voglio bene, Giorgia. Più di ogni cosa. Ma ora… voglio bene anche a me. Non posso più vivere la tua vita. È il momento che tu impari a viverla da sola.
Seguì un silenzio teso. Poi il clic del telefono chiuso.
Caterina restò ferma. Sola, sì, ma non vuota. Una lacrima le solcò il viso, e poi un’altra. Non erano di tristezza — erano il segno della libertà. Si voltò verso la valigia mezza pronta, i biglietti sul comodino, la guida di Lisbona piena di appunti.
Era arrivato il momento. Per la prima volta, stava iniziando il suo racconto.