Il suono ritmico dei tacchi sull’asfalto umido si mescolava al consueto andirivieni della centrale di polizia di Bellaria, quando un cane di piccola taglia varcò con passo deciso le porte automatiche. Sembrava uscito da una favola: il pelo grigio spettinato, una macchia nera rotonda proprio sopra il naso che ricordava un monocolo tracciato con un pennarello.
Camminava con sicurezza, come se conoscesse perfettamente la strada da seguire.
Dietro il bancone, alcuni agenti si voltarono, inizialmente confusi, poi divertiti. Un sorriso collettivo addolcì l’atmosfera tesa.
“Ma guarda chi arriva,” commentò ridendo l’agente Moretti, osservando il cagnolino che zigzagava tra le sedie della sala d’attesa.
“Ciao, piccolo esploratore,” disse l’agente Giada Elmi, abbassandosi per accoglierlo.
Il cane – una vera palla di energia – le saltò in braccio, coprendole il viso di leccate affettuose.
Poi si bloccò di colpo.
Con un balzo tornò a terra, si girò verso l’uscita e abbaiò una sola volta, poi si voltò di nuovo verso gli agenti, come per dire: “Seguitemi.”
“Che sta combinando?” chiese Moretti, accigliandosi.
“Non lo so,” rispose Giada, inarcando un sopracciglio, “ma sembra aver fretta.”
“Va bene, seguiamo l’agente segreto,” disse lui, già infilandosi la giacca. “Lo chiamerò Nitro.”
“Nitro?” rise lei.
“Ha l’aspetto da veterano sotto copertura.”
Così Nitro – come ormai era stato soprannominato – li guidò per le stradine del porto, tra vicoli stretti intrisi di odore di ruggine e mare. Il cielo si era fatto cupo e l’aria preannunciava un altro temporale.
Si fermò davanti a un capannone in disuso, sigillato con una catena arrugginita. Si sedette, con lo sguardo fisso sulla porta.
“Qui dentro?” sussurrò Giada, incerta.
Il cane abbaiò e cominciò a graffiare il metallo con insistenza.
Moretti trovò un piede di porco tra dei rottami e ruppe la catena con un colpo secco.
All’interno, solo buio e un odore di muffa e ferro vecchio. L’unico suono era quello di gocce che cadevano da qualche tubo bucato.
Poi, un lamento flebile.
Giada accese la torcia e seguì Nitro tra pile di scatoloni e vecchi attrezzi. Dietro un carrello arrugginito, rannicchiata a terra, c’era una bambina.
Capelli scompigliati, occhi spalancati, le gambe sporche e piene di graffi. Non doveva avere più di otto o nove anni.
“Ehi, tranquilla. Sei salva ora,” disse Giada, con voce rassicurante.
La bambina fissò Nitro, poi scoppiò in un pianto liberatorio.
“Lui… lui mi ha trovata,” disse tra i singhiozzi. “È tornato per me.”
Il suo nome era Elena. Era scomparsa due giorni prima, all’uscita da scuola. I genitori avevano denunciato subito la scomparsa, ma le ricerche non avevano dato frutti.
Un uomo, già sospettato in passato di rapimenti, l’aveva sequestrata e nascosta in quel magazzino. Quella mattina si era allontanato in cerca di cibo, lasciandola sola.
Nitro – il cane della famiglia, creduto scomparso – era riuscito a seguire la pista fino a quel rifugio. E, chissà per quale istinto, aveva pensato bene di entrare in commissariato.
Quella sera stessa, l’uomo fu arrestato.
Elena, avvolta in una coperta d’emergenza, non lasciava mai Nitro, che le stava accanto senza allontanarsi un attimo, fiero e instancabile.
In poche ore, la notizia fece il giro del paese. Le televisioni locali raccontarono la storia del “cane poliziotto” che aveva risolto un caso dove ogni tentativo umano era fallito.
Durante una cerimonia pubblica nella piazza del paese, il sindaco conferì a Nitro una medaglia al valore simbolica.
E da allora, nella centrale di Bellaria, un angolo fu allestito apposta per lui: una cuccia, una ciotola piena e un cartello scritto a mano: