Mi chiamo Laura.
E oggi, per la prima volta, ho stretto mio figlio tra le braccia.
Quarantanove anni. Un numero che spesso suscita sguardi sorpresi, mormorii, battute velate.
Ma io mi sento diversa. Nuova. Rinata.
Eppure, il mio telefono è rimasto muto. Nessun messaggio, nessuna chiamata.
Nessun fiore, nemmeno uno virtuale.
Solo il silenzio.
Non perché io sia sola. Ma perché nessuno si aspettava che accadesse.
Neanche io, se devo essere sincera.
A quarantasette anni, quando il medico mi disse che aspettavo un bambino, pensai a un errore. O a uno scherzo di cattivo gusto.
Andrea, il mio compagno, era scomparso l’anno prima in un incidente improvviso.
Avevamo cercato di avere un figlio per anni, senza successo.
Poi, quando ormai mi ero rassegnata all’idea che l’unica cosa che avrei mai generato fosse la solitudine, quella linea rosa apparve sul test di gravidanza.
Le mani mi tremavano.
Non fu la gioia a travolgermi per prima, ma la paura.
A quasi cinquant’anni, con un lavoro incerto, senza famiglia accanto. Mia madre se n’era andata da tempo, mio padre aveva smesso di parlarmi anni prima, e le amicizie… dissolte, come foglie d’autunno nel vento.
Ma ho deciso che questo bambino sarebbe venuto al mondo.
Nonostante tutto. Nonostante tutti.
E oggi, in una stanza d’ospedale illuminata dalla luce tenue del mattino, ho ascoltato il primo vagito di mio figlio.
Il suono più bello che potessi mai immaginare.
L’ho chiamato Andrea, come suo padre.
Ha il suo naso. E i miei occhi.
Lo stringo forte e mi domando:
Perché nessuno mi ha detto «Auguri»?
Forse credono che sia troppo tardi.
O che io non sia all’altezza.
O forse si sono dimenticati che anche una donna adulta può sentirsi fragile.
E terribilmente sola.
Ma non importa.
Perché mentre lo guardo, sento una forza dentro di me che non credevo di avere.
E so che da oggi, non sarò mai più sola.
Anche senza auguri, anche senza fiori, ho ricevuto il dono più grande.
E un giorno, quando Andrea sarà grande, gli racconterò tutto.
Che a quarantanove anni sono diventata madre.
Che avevo paura.
Che nessuno mi ha scritto.
Ma che il mio cuore… non era mai stato così pieno.
E forse, quando qualcuno gli chiederà di me, lui risponderà:
— Mia madre? Era una combattente. Mi ha donato la vita… quando nessuno ci credeva più.